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Nonostante Tutto, di Francesca Vignali Albergotti

Nonostante tutto
Nonostante tutto

Sono 12. 12 personaggi, 12 storie collegate tra loro, reali, crude intense. Sono l’opera prima di un’autrice che ci cattura con l’ironia e insieme il dolore e ancora l’amore scelto, represso, depresso, nascosto, meritato e anche meno… Nonostante tutto, il romanzo di Francesca Vignali Albergotti uscito per quelli di Fazi, palpita di vita credibile e interseca storie.

Inizia con Susy, “intrepida ragazza di una certa età col cuore e non solo quello, ancora giovane”. Lei e la sua perfettissima visione di sé, involucro di mezza età tirata a lucido e ben incastrata in una vita luccicante del “non mi manca niente”, o forse sì… Piena di orari scanditi dalla fissità con cui tiene le palpebre aperte al mondo delle amiche, dello shopping, del personal trainer. Cibo buono, buona vita, vana vita. Così come è bello l’uomo che sceglie; che importa se è così più grande di lei? Val la pena perdersi nella trasparenza di quegli occhi che poi resteranno più che trasparenti, languidamente assorti nella senile demenza, sfortuna che incombe…

Lui è Carlo, “un playboy disarmato”, emblema dell’uomo a cui la vita ha dato qualunque forma di desiderio, in qualunque forma l’avesse desiderata: nelle donne belle e adoranti, nel lavoro sicuro, nei viaggi. Un soffio, un alito di ossigeno, quel che resta. Claustrofobicamente rinchiuso in se stesso, nelle perdite di memoria sempre più invalidanti, tanto da essere rinchiuso non solo nell’anima ma pure nel corpo, in una camera con televisore a occludere il resto del niente, badante compresa. All’improvviso, della meraviglia di donna che aveva al suo fianco non resta più niente, non il sesso, non il sorriso; resta soltanto un corpo che appare improvviso come quello di una strega, arpia dalle fattezze strambe, la faccia lucida e tirata, un corpo molle e abbronzato. Di Susy, la sua Susy, resta solo il vago ricordo del nome… e resta il vago ricordo di un figlio rimasto con la ex moglie. Un figlio visto poco, amato comunque tanto, che per ogni incontro di fine settimana aveva sempre l’impedimento di una febbre, un malore improvviso.

Lui è Leonardo, “un uomo che sembra triste, e infatti lo è”, che convive con un compagno e un cane e una volta a settimana si stende sul lettino psicoanalitico sotto lo sguardo in adorazione di Paola. Leonardo da adolescente conosce già tutte le molecole della miriade di psicofarmaci con cui cercano di tirargli via la tristezza dagli occhi e dal cuore, lenendo i sensi di colpa della madre. Ma per ogni pillolina c’è una controindicazione e una pillolina contro la controindicazione, col risultato che il ragazzo ingurgita quantità immonde di pilloline che, passando per la depressione, l’anti-depressione, l’eccitazione e l’anti-eccitazione lo riportano esattamente allo stesso punto, solo più sintetico.

Paola è “la psicologa innamorata”; è perfetta, sicura, ha una bella vita, una bella casa, un bel marito, dei bei figli. Paola incontra il suo paziente preferito il martedì pomeriggio, inizia a vivere dal lunedì pomeriggio e riprende a vivere pensando a lui per tutto il resto del tempo. Marito e figli, vita mentalmente parallela. Così diversi da come si immaginano in cuore.

Lei è Camilla, “una ragazzina a cui non manca niente”, bella, brillante, intelligente, insensibile, detestabile. Si vede orrida e grassa, e termina pranzo e cena con due dita in gola, alla gola. Guarda sua madre e vede l’insopportabile e schiacciante mito che non raggiungerà mai.

Lui è Gianmaria, “una promessa del calcio”, tutt’altro che il figlio sereno che i suoi credono essere. Vorrebbe non deludere nessuno e intanto vive la sua esistenza stretto alla famiglia parallela fatta di amici, nel metro quadro limitato della sua camera.

Lui è Edoardo, “l’ingegnere che funziona” come leader, come problem solver. È l’uomo che non deve chiedere mai, e che invece chiede eccome, soprattutto compagnia nei lunghi spostamenti lontano da casa per vincere la noia, per dovere di vita. Basta uno sguardo, un gesto e il fruscio di un lenzuolo inutile e freddo da camera d’albergo da condividere con una segretaria, un’assistente… o una come Rebecca, “una donna sola”, imperterrita lavoratrice, vuota d’affetto da una storia finita con Andrea.

Andrea, lui, è “un uomo pentito”, lavoratore serio, forse pure innamorato. È impercettibilmente infastidito dagli orari impossibili di Rebecca, dai suoi guadagni più alti, dai suoi regali ineguagliabili. È perso nella routine delle cene solitarie in attesa di rientri stanchi, viene fulminato sulla via dall’ufficio al bar dalla straniera bellissima dall’occhio incantatore. Irina, amore fulminante che lo folgorerà del tutto.

Irina, lei, è “una bella ragazza” dell’est, Venere imponente: riempie il mondo intorno a sé di sorrisi caldi e sguardi dolcissimi. Sembra incarnare le forme della perfezione dentro e fuori. Si dona, si dedica come una moglie di altri tempi. Sa cos’è il dolore, la povertà, e questo lascia piccoli solchi nel cuore. Il suo è uno sguardo che si farà sempre più stretto e tagliente, i suoi son desideri che si faranno strada a più non posso, nella speranza di un futuro migliore per se stessa, per la sua mamma lontana e il piccolo fratellino. Irina è una ragazza che vuole il meglio, vuole tutto, vuole di più.

Poi c’è ancora Peppe, “un uomo ricco che suda tanto”, proveniente da una famiglia di conciatori di pelle che gli regalano un’infanzia e una giovinezza immerse nella puzza di cadaveri animali e la vergogna di tenersela sempre appiccicata addosso. Salvo che proprio quel conciare pelli lo renderà un uomo ricco e potente. Quasi in bilico tra la bontà dei ricordi dell’infanzia e l’asciutto sguardo puntato sull’affare, una moglie inevitabile, una vita inossidabile, almeno in parte…

Poi c’è Gloria, “una brava moglie”, la moglie di Peppe, forse lo sguardo più limpido tra tutti. Innamorata di un altro, moglie rassegnata, compagna silenziosa, sopportatrice, sognatrice, dispersa nell’amore per un figlio che non arriva, riverso poi in un cagnetto da amare altrettanto intensamente. Guarderà sfilare le vite di tutti in un momento di tragica fatalità in cui tutto verrà al culmine incastrato, disciolto, disteso, in una sorta di giustizia divina e inevitabile, fili tirati a concludere in un solo istante le nostre visioni distorte, le brutture, le avidità.

Nonostante tutto val la pena abbracciarsi in forme di affetto che sollevano, che fungono da salvagente nella crudezza che a volte annega. Val la pena bastarsi, aspettarsi, amarsi… Nonostante tutto.

Stefania Castella

Mi chiamo Stefania e sono nata a Napoli da padre con occhi trasparenti e madre con lunghissimi capelli biondi e gonnellone hippy. Non so perché ve lo dico, solo perché tutti scriviamo dove nasciamo e nessuno da chi. Sono grafica pubblicitaria e soprattutto mamma a tempo pieno e indeterminato. Scrivo da quando ho imparato, leggo da sempre e ascolto da molto di più. Mi piace leggere e raccontare storie, dare voce. Scrivere è la mia esigenza, la mia necessità. Mi piace raccontare ciò che ho letto cercando di trasmettere l'emozione che ho provato, lasciandovi entrare nel viaggio che ogni scrittore regala. Se questo si chiama recensire, allora recensisco. Cosa fa su MeLoLeggo? Quello che amo fare: immergermi in una storia di carta, con rispetto e onestà, affiancandomi con voi alle pagine e percorrendo lo stesso bellissimo sogno. Ogni scrittore partorisce le sue creature con amore e fatica, quello che possiamo fare è raccogliere la sua storia. Se una storia non piace non si può stroncarla, solo evitare di raccoglierla, no?

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