Pulcinella è cattivo, di Gianluca Di Matola
Quello che cogli tra le pagine di Pulcinella è cattivo (Clown Bianco edizioni) di Gianluca Di Matola è la vita di tutti, quello spazio che la cronaca non ti racconta perché non svela il pensiero, non racconta il sudore, né il dolore o la resistenza che c’è.
Non confondetevi… o forse sì, forse è meglio confondersi quando si tratta di vittime troppo giovani per trovare un alibi, per trovare una ragione, per arrendersi a una soluzione. Gianluca Di Matola ha la sensibilità giusta per descrivere l’indescrivibile, la ferita che taglia quel cordone ombelicale che lega infanzia e gioventù. Ce l’hai, ti spetta, devi essere bambino per il tempo che occorre e non sempre te lo permettono. Certe volte in certi luoghi accade che non ti sia permesso. Sono luoghi fisici, sono cantine, sono un retrobottega angusto, e sono luoghi mentali, dove si stringono ragnatele che non potrai strappare senza restare ad inciamparci dentro.
Quei luoghi di fuori e di dentro Di Matola li sa raccontare senza morbosità. Può permettersi un tema infame come quello della pedofilia, raccontando il fatto: la scomparsa, la paura, le urla di chi scopre in ginocchio che quella è la sua scarpina, quello è il pezzetto del suo abitino, quello che portava l’ultima volta che l’hanno vista.
Sara Venturi della Squadra Mobile della Questura centrale di Napoli dovrebbe essere abituata alla bruttura, ma è umana, e somiglia a noi che leggiamo il suo tentativo, il suo incedere, procedere, provare a capire e rendere giustizia. Di Matola le dà vita tra le pagine e sa rendere giustizia al suo personaggio, con le sue luci e le sue ombre, la sua stanchezza, il suo rompere quel ghiaccio che divide quelle palazzine rosa di periferia, con il loro ritmo scandito, preciso, sotto controllo.
La storia di Umbertino e Vanessa, piccole anime afferrate dal mostro e scomparse nel vuoto, somiglia proprio a quelle che ritroviamo nelle pagine di cronaca che scorriamo tra le dita troppe volte. E hanno un’anima, un percorso che seguiremo attraverso occhi e passi di bambini, attraverso il dolore di una fiducia ferita. Li seguiremo insieme a Sara e al suo collega, Boris, un capo e un’ombra di donna con un passato troppo doloroso per essere anche lei assolta. Proseguiremo nel buio come troppe volte accade nella vita fuori dalle pagine dei libri. Forse capiremo solo alla fine il senso di tutto quell’incubo che, anche giunto al termine, resta incollato addosso come le ingiustizie che non trovano mai giustizia. In fila, i mostri. E quando gli strappi la maschera resti a chiederti quanto questa li abbia coperti, quanto abbia celato, quanta umanità resti in certi lati oscuri che non vorresti mai ritrovarti davanti.