Quattro soli a motore, di Nicola Pezzoli
Dopo “Tutta colpa di Tondelli”, pubblicato per Kaos edizioni nel 2008, Nicola Pezzoli pubblica “Quattro soli a motore”, il suo secondo romanzo, con la Neo edizioni. Si tratta di un libro intenso, corposo (300 pagine) eppur scorrevole. L’autore ci porta indietro nel tempo, nel 1978, e nell’estate di quell’anno dispiega il mondo del piccolo Corradino, undicenne dalle paure comuni ai ragazzi della sua età, che svela la propria adolescenza nel più ampio e variegato contesto familiare, fatto di un padre violento che lo picchia con la cinghia, una madre alcolizzata che prova a proteggerlo a modo suo e tanti altri personaggi che caratterizzano la formazione del ragazzo, dalla zia Trude agli odiosi ed immancabili bulli della scuola che lo prendono in giro chiamandolo Scrofa. L’ambientazione che li accoglie è quella della campagna lombarda, sorda nei confronti del cambiamento che pur lento e inesorabile avviene. Corradino aggiunge tasselli raccontando la sua storia fatta di difficoltà, sogni da inseguire, ricordi e pensieri che si avviano verso il futuro. Tragico ma anche comico, spensierato così come riflessivo, il bambino intreccia la propria storia a quella di chi lo circonda, così che possa formarsi un romanzo corale di rara bellezza.
Tra i pregi che il libro offre vi è sicuramente quello della singolarità: è una storia che ne ricorda tante altre comuni, pur rimanendo imperniata su una propria originalità che trascende i generi letterari in una commistione unica, particolare, trasversale.
La scrittura di Nicola Pezzoli lascia che il lettore si cali nei panni del bambino che racconta, che si regala, facendo sì che l’intensità descrittiva ed emotiva che traspare faccia da filo conduttore dalla prima fino all’ultima pagina.
Ci si ritroverà così, al di là della propria età e della propria esperienza di vita, a lasciarsi condurre attraverso parole, emozioni e considerazioni che faranno riflettere e rinascere quella parte adolescenziale di noi che forse cercava di ergersi ad adulta e giudicante già tanto tempo fa:
A undici anni la Messa la sapevo a memoria, ma non è che capissi tutto. Quando arrivava la parte “Ricordati dei nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della resurrezione”, io pensavo sempre “Bei coglioni”, perché immaginavo fosse gente radunatasi a bivaccare davanti alla tomba di Gesù, ma che poi aveva ceduto al sonno, perdendosi lo spettacolo. Mica lo sapevo che quella pappardella lì voleva dire “ricordati dei morti”.