Recensione: Il sale, di Jean-Baptiste Del Amo
L’autore è Jean-Baptiste Del Amo, francese di Tolosa classe 1981. A soli trentadue anni è stato già accostato ai grandi nomi della letteratura della sua nazione: si è pensato a Flaubert e a Zola, a Balzac e a Dumas… e per questo è bastato semplicemente il suo primo romanzo: Une éducation libertine (mai pubblicato in Italia). Le premesse sono quindi decisamente importanti per questo suo nuovo lavoro, Il sale, pubblicato in Italia da Neo Edizioni con traduzione di Sabrina Campolongo. La casa editrice nostrana ci ha regalato la possibilità di conoscere questo talento, che già nel 2006 veniva premiato come “il miglior giovane scrittore di Francia” e che ora ha decisamente confermato le proprie potenzialità.
Titolo secco ed evocativo, Il sale: rimanda al mare, a sapori a noi ben noti, alla tavola. È proprio a questi elementi che si lega il romanzo che, prendendo spunto dalla cena di una famiglia, porterà a un confronto estremo, netto. La storia proposta dall’autore si svolge nell’arco di una sola giornata, quella di preparazione a questo pasto, e vede Jonas, Amid e Fanny ritornare verso il mare e verso la propria madre, con quel sale metaforico che lascia bruciare le loro ferite. Il viaggio è tutto interiore: tre fratelli e figli che ripercorrono con la memoria la propria infanzia e riportano alla luce i loro ricordi. Da qui inizia a delinearsi il cumulo di ferite mai rimarginate che tornano a galla e ampliano lo spettro della narrazione, proponendo una visione quasi violenta del nucleo familiare: una contrapposizione tra ciò che un genitore crede sia stato sopito o ha fatto finta di non vedere e ciò che un figlio porta dentro come scintilla di rancore, come ferita da coltivare con cura e dovizia quasi fosse necessaria per continuare a rimanere a galla nella vita. La bravura dell’autore nel caratterizzare i personaggi e a renderli reali, nel saper cogliere gli aspetti comuni a tutte quelle famiglie normali e quindi controverse, sofferenti e dense di rapporti irrisolvibili, fanno di questo libro un racconto universale, una storia vicina a chi legge e che, per forza di cose, ritrova il proprio vissuto e le proprie dinamiche familiari.
Il lirismo di Del Amo è sempre calibrato e mai eccessivo, ma nonostante la cura e la raffinatezza delle parole si cerca forse, in tutto il libro, di togliere il velo sulla questione nodale inerente ai rapporti familiari: l’idea di unità proposta dalla nostra società, in merito ai nostri nuclei d’origine, non può nascondere l’altra faccia della medaglia, quella che ci vuole unici e irrimediabilmente soli al mondo con i nostri dolori, le nostre solitudini e sofferenze. Che non sia la famiglia stessa il sale che le lascia bruciare?