Recensione: La vita perfetta di William Sidis, di Morten Brask
La vita perfetta di William Sidis è, come spesso per fortuna accade, uno di quei libri che mi chiamano dallo scaffale, che si insinuano nel mio normale pensiero, come le cose belle dei tempi che furono. Quelle cose che, in qualunque momento della tua vita tu possa pensarci, hanno sempre il sapore fascinoso della prima volta. William Sidis era un nome per me sconosciuto, fino a qualche giorno fa. Oggi, lo sento vicino come se fosse un mio fratello.
Figlio di due medici ebrei immigrati negli USA per sfuggire al carcere zarista, William Sidis, detto Billy, era dotato di un quoziente di intelligenza tra i più alti mai registrati (alcune fonti dicono il più alto, ma si sa che con i numeri spesso non si riesce a descrivere completamente un fenomeno). A 18 mesi leggeva il New York Times, a 4 anni imparò da solo greco e latino, a 6 memorizzava all’istante ogni libro che sfogliava. La sua intelligenza, la grande memoria fotografica e la spiccata attitudine al ragionamento, alla memorizzazione e alle complicazioni del calcolo mentale, lo portarono a bruciare le tappe fino a presentarsi, a soli 11 anni, davanti a un pubblico di scienziati di Harvard per formulare la propria teoria sulla quarta dimensione.
Un mostruoso crescendo che non avrebbe dovuto far dimenticare, agli adulti, che davanti avevano in fondo solo un bambino, con la propria fragilità e il desiderio di crescere accompagnandosi alla più assoluta normalità. Ma come si fa a essere e soprattutto a vivere in modo normale, quando si sale alla ribalta della cronaca, quando si è oggetto della curiosità e dello studio perfino da parte del proprio padre, oppure s’innesca una possessività maniacale da parte della propria madre? Si finisce così per estraniarsi dalla realtà, perdendo i punti di contatto con i simili, senza riuscire a vivere e realizzare le cose più elementari, come giocare con i coetanei, dichiarare il proprio amore alla ragazza che ti piace, relazionarsi con il prossimo.
William cresce, ma ben presto un suo interesse per il socialismo lo spinge a esser protagonista di una manifestazione che, per quanto pacifica, porta a tafferugli e al conseguente arresto. Nel frattempo, William aveva avuto modo di innamorarsi di Martha, la ragazza per la quale si era fatto trascinare in quella vicenda. Pur se fiducioso nel rilascio in appello, sono i suoi genitori (nel frattempo il padre dirigeva una clinica per psico-patologie) ad anticipare i tempi con un’azione che disgrega in modo definitivo il rapporto con il figlio. I coniugi Williams, certamente armati del miglior amore filiale ma erroneamente applicandolo, ne assumono la tutela facendo dichiarare William mentalmente instabile. E questo, agli occhi del sempre più introverso Billy, diventa il tradimento maggiore. La sua fuga e il suo conseguente desiderio di far perdere le proprie tracce, la ricerca di un lavoro il più possibile anonimo, costituiscono la trama degli anni a venire. L’unica persona che riuscirà a stargli vicino e, forse, ad accettarlo senza deluderlo, sarà un vecchio amico di Harvard, anch’egli fuggito dalla prospettiva di una brillante carriera ma per motivi del tutto differenti da quelli di William. Eppure, l’amicizia vera non salverà il protagonista, morto per un’emorragia cerebrale, solitario nella imperfetta perfezione della propria esistenza.
Brask, talentuoso autore del libro, ne racconta la storia con sapienza, passione, linearità. Il lettore si ritrova preso per mano, condotto e coinvolto nei momenti cruciali dell’esistenza di questo sfortunato genio, di questa vittima del proprio smisurato talento. Lo stile di Brask è asciutto, suadente e mai ridondante. S’insinua nelle pieghe dell’animo con la dolcezza di una voce materna, senza mai cadere nell’abisso del patetico, pur rasentandone spesso l’orlo. E il rifugiarsi, per scelta o costrizione, nei meandri della Vita Perfetta, o madama Solitudine che dir si voglia, è l’unico risultato cui approda Billy, in barba alle enormi potenzialità che la natura gli aveva fornito.
Inutile aggiungere altro, se non che ritengo La vita perfetta di William Sidis uno dei libri più belli che abbia letto negli ultimi anni, un segno piacevole che non ho perso il mio tempo. E una lezione in più, per farmi capire (e farci capire) che non basta il talento per vivere una vita su misura, per essere liberi e non prigionieri di ciò che dovrebbe essere un dono, ma spesso si tramuta in un insostenibile fardello che baratteremmo volentieri con un sorso di normalità.
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