Recensione: Mette pioggia, di Gianni Tetti
Mette Pioggia (Neo Edizioni) è il secondo libro di Gianni Tetti. Classe 1980, Tetti è laureato in Lingue e Letterature Straniere ma ha un dottorato in Storia delle Arti con indirizzo Cinema, ha già pubblicato I cani là fuori (Neo Edizioni), scritto e diretto un documentario dal titolo “Un passo dietro l’altro” e ha lavorato come story-liner per produzioni quali “Un posto al sole”. Si può definire dunque un personaggio eclettico e dalle mille risorse, e secondo me questo suo nuovo lavoro ne è la conferma: Mette pioggia racconta la fine del mondo, ma lo fa in quel di Sassari, in Sardegna. Roba per scrittori coraggiosi. Si, perché i gran finali per eccellenza, quelli che riguardano l’umanità tutta, sono legati ai grandi centri dove la vita accade e può, a ragione, essere distrutta, tra grattacieli che vengono giù e folle che corrono via urlando.
Ogni volta c’è qualcosa, alieni, meteoriti, glaciazioni, cavallette giganti, ogni volta parte tutto da New York o da Washington e il presidente americano prende l’Air Force One. E fa un lungo discorso alla nazione. Ogni Santa volta.
La fine del mondo sull’isola sarda abbraccia invece altri stili, meno appariscenti e più soffocati, più barbari e desolanti e, forse per questo, più feroci. Il libro dura quanto una settimana: ogni capitolo porta il nome di un giorno, dal lunedì fino alla domenica. Le pagine e le giornate si susseguono in maniera incisiva e corrosiva, l’autore si lascia andare a descrizioni desolanti di posti, volti e vite, partendo da un lunedì particolarmente caldo per finire in una domenica di silenzio e sacralità che pare aver inghiottito tutto. Le storie infilate tra le pagine, i personaggi tipici di una città asfissiata ma che tenta di rimanere ben salda alla vita povera di stimoli che le appartiene, sono raccontati in maniera cruda e senza veli.
E mentre gli edifici e le strade vengono mangiati da un sole rovente, appaiono un testimone di Geova dall’aria spersa, un uomo capace di ammazzare il proprio figlio portatore di handicap, Arturo Zanon e il suo lavoro in laboratorio, Antonio Deliperi e la sua fissazione di far parlare il proprio cane come facevano i nazisti. Vite raccontate a spezzoni, attraverso periodi taglienti e tagliati che sembrano comporre un puzzle nella testa di chi legge.
Il libro scorre e lo fa ad imbuto, trascina in un vortice di parole roventi come il caldo che attanaglia la città, come quel virus che ha attaccato tutti e che mangia la vita dall’interno, dallo stomaco.
Mi sono svegliato di colpo. Sono tutto sudato. Ho il fiatone. Mi batte forte il cuore. Non riesco più a prendere sonno. Mi sembra di soffocare. Allora mi alzo. Mi fa male. La schiena. Ogni volta che mi sveglio mi sembra di soffocare. C’è buio. Un po’ di luce blu viene dalla finestra aperta. Questa luce blu entra in camera da letto e tocca il quadro. Quel quadro è appeso lì da quarant’anni. C’è disegnato un cavaliere biondo sopra un cavallo nero. Il cavaliere corre a cavallo con la spada in mano. La spada punta il cielo. Il cielo è pieno di nuvole. Le nuvole sono viola. Quel quadro ce l’hanno regalato al matrimonio. Quando ce l’hanno regalato per me e mia moglie era il regalo peggiore di tutti. Non so com’è successo, ma ci è finito in camera da letto. Mi sono svegliato di colpo e la prima cosa che ho sentito è stata la sveglia. Tic toc. Tic toc. Tic toc. Tic toc.
Il finale del testo è di forte impatto: Tetti compie una vera e propria virata che spiazza e sorprende il lettore. La sua scelta è quella di abbandonare il raccontato per regalare un’immagine, l’immagine della fine, la fotografia che immortala gli ultimi attimi della terra prima del respiro finale. Nell’ultima pagina si comprende, e lo fanno anche gli ultimi rimasti in vita, prima di soccombere, com’è che si è propagato il virus della morte. E poi più nulla, o quasi. L’autore, che muove i fili della storia, o il dio che intreccia le vite degli uomini avendone deciso ormai la fine, libera tutti con l’arrivo della morte e in quest’atto così forte sembra mostrare, per la prima volta, una buona dose di pietà.
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