Recensione: Mi mangiassero i grilli, di Andrea D’Agostino
Cosa pensi di fare, dove vuoi andare, che cammino desideri percorrere?
Sono le solite domande sciocche che ci si pone ogni tanto. Sciocche perché tanto non sai mai cosa rispondere, soprattutto quando ormai sei consapevole che qualsiasi strada tu scelga, la vita al 99% ne sceglierà un’altra per te, piazzandoti una bella deviazione, una scorciatoia allettante, un tornante pericoloso. Però sono queste le domande che mi sono posta leggendo Mi mangiassero i grilli, il primo romanzo di Andrea D’Agostino edito da Fernandel, seguendo il semplice ragionamento per cui, se esprimi il desiderio d’essere mangiato da un’orda di insetti, forse le cose non ti stanno andando tanto bene.
Secondo me il protagonista di questa storia sarebbe d’accordo. È un giovane ragazzo originario di Enna e si chiama Vinicio (o Cataldo, nel caso vogliate chiedere conferma a sua nonna); orfano di genitori, è cresciuto con un nonno un po’ pavido e una nonna che fa il buono e il cattivo tempo utilizzando una moneta di scambio molto forte, il cibo. Per questo, dopo aver scoperto di essere anagraficamente morto, il nonno semplicemente scappa, seguito da Vinicio non molto tempo dopo. Non pensate possa essere uno spoiler, perché questo è appena l’inizio.
La storia è carina e particolare, ma l’aspetto più godibile del libro è lo stile spontaneo, l’espressione del mondo, la prosa non lineare che mischia presente e passato in modo inatteso, utilizzando i titoli come punti di vista del tutto disallineati dal resto e creando una sorta di scomodità rispetto all’atteso a tutto vantaggio del lettore, che viene spinto a leggere con attenzione costante, vigile. Il linguaggio è visivo e a volte rende, con estrema esattezza, i contorni di una fotografia.
A Enna la nebbia non arriva dal basso come a Codevilla, da dentro la terra. A Enna la nebbia cala dall’alto: nuvole che, come la lana delle pecore sul filo spinato, si impigliano sulle antenne, sui resti del tempio di Cerere, sulla croce arrugginita di Montesalvo. Sono nuvole umide e molli che accendono i reumatismi dei vecchi, ingoiano chi non vuole farsi vedere, imperlano le foglie carnose dei cavoli e i cappotti, fanno ammuffire i soffitti negli angoli, inzuppano le galline fino alle ossa. A vederla da lontano, quando c’è nebbia, sembra che come il nonno Enna si metta la coppola.
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