Recensione: Venivamo tutte per mare, di Julie Otsuka
Venivamo tutte per mare (tradotto da Silvia Pareschi per Bollati Boringhieri) è il secondo romanzo di Julie Otsuka, americana di origini giapponesi, che con questa sua opera ha vinto numerosi premi.
Protagonista è la donna, che in mille modi diversi è simile in tutte le culture, in tutti i paesi: sempre deve combattere, soffrire, preoccuparsi per la famiglia, i mariti e i bambini, stando sempre attenta ai valori.
In questo libro si parla della donna o, meglio, delle donne giapponesi che nel Novecento emigrano negli Stati Uniti in cerca di una vita migliore, andando in spose a uomini giapponesi che già vivono lì. La vita del migrante non è semplice, e loro devono abituarsi spesso a mariti mediocri, lavori pesanti e talvolta umilianti, al razzismo dilagante degli americani, in una società dove si sentono fuori posto e ancora si ricordano tanto della loro madre patria quanto delle madri che hanno lasciato indietro.
Ma c’è anche il ritratto di più generazioni, una ancora con un piede in Giappone, l’altra concentrata a vivere nel presente, imparare la nuova lingua e le nuove usanze. Il rapporto tra la vecchia e la nuova generazione è importante quanto quello madre/figlio e i figli, anche loro, seppur diversi, sono tutti in un certo senso molto simili nel loro legame con la madre, con le loro storie tristi e tenere, in un mondo dove devono anch’essi adattarsi e cavarsela spesso da soli.
Con la seconda guerra mondiale l’ostilità verso i giapponesi aumenta, vengono considerati traditori ed evacuati dalle proprie case, portati lontano, e pian piano la loro scomparsa diventa un mistero, una tragedia. Tutti vogliono dimenticare, ma è sempre presente il ricordo, anche solo nei sogni, di quelli che una volta erano sì stranieri, ma anche vicini, amici, colleghi e non solo: la propria sarta, il proprietario del ristorante dove andavano spesso o un proprio dipendente.
Sembra una storia di singoli, che un po’ per volta si trasforma nella storia di un popolo consapevole delle proprie origini, ma che teme il pericolo che proviene dal ricordarsi, dal ricordare agli altri la propria diversità.
Sono storie travagliate, ma anche costellate di piccoli momenti felici, di vita familiare, delle soddisfazioni del duro lavoro e del trovare accettazione ed amore.
Julie Otsuka ha scritto un libro che, seppur breve, è un grande libro. Ha raccontato storie semplici, di persone semplici, che vanno a costituire quella che è la Storia, non solo del popolo giapponese in America, ma di tutti i popoli che nel loro migrare sovvertono la loro vita e quella del mondo.