Ricette Umorali. Il bis. Palati in fuga, apericene e altre catastrofi
Se avete letto il primo, sapete di cosa parliamo. Se non lo avete letto, leggerete questo bis e tornerete indietro a recuperare il libro perduto. Ci sono parole che scavano nell’anima; queste vi scaveranno ovunque, nelle vene, nei polmoni che si scuoteranno tutti, nello stomaco che sarà sazio, saturo, senza cibo ferire.
Isabella Pedicini, ho già avuto modo di dirlo, è geniale. Nelle idee, nella costruzione, nella scioltezza degli abbinamenti culturali-culinari, di parole saporite, sapientemente accostate. Nell’azzeccare l’avverbio giusto al ritmo giusto, nella giusta portata, senza che la pietanza risulti scotta. Q.b. potremmo dire, e al punto giusto. Veloce, ispirata. In principio era il fatidico (spesso, ma non sempre) pinna gialla che si taglia con un grissino, che rientrava per forza di cose nel titolo del primo libro: Ricette Umorali, in principio era pasta al tonno, una forma di ricettario raccolto in anni da studentessa universitaria, in cui avere un minimo agio in cucina può voler dire salvarsi dalla tristezza del panino perpetuo e della fatidica, super inflazionata, per l’appunto, pasta al tonno.
Tra immagini, racconti, visioni e alti e bassi ormo-umorali, le ricette spesso non terminano il loro compiersi ma al lettore non interessa; ci si abbandona alla trama del racconto, tralasciando l’amatriciana, smettendo di interrogarsi sull’aglio o la cipolla della carbonara. Seguendo quest’artista della parola (e non solo, Isabella è storica dell’arte) nella divagazione socio-, politico-, filosofico-culturale, insomma ovunque voglia portarci al suono delle sue evocative espressioni, non ci si perde mai.
Dopo il primo successo, probabilmente nato, cresciuto e accompagnato tra l’incoscienza e l’evasione, il secondo arriva dopo tre anni e per l’autrice ha una maggiore forma romanzata. Ricette Umorali, il bis. Palati in fuga, apericene e altre catastrofi (Fazi editore) esce in questi giorni e promette di essere più che un seguito del primo, un’aggiunta. Più che un manuale di cucina da sfogliare all’occorrenza, questo è un libro di vita, perché ogni ricetta è un racconto di realtà e di esperienze. In questo secondo lavoro l’autrice ruota intorno al tema dell’emigrazione, l’attualissima fuga di cervelli e di palati e il loro approdo (spesso gustativamente doloroso) fuori, lontano da casa. E se in principio, oltre il tonno, era la madre il perno principale attorno cui ruotare le vite di tutti, perché sua la domanda fondamentale da esistenza studentesca: “Hai mangiato?”, qui immaginiamo un percorso evoluto, per cui le esperienze sono viaggi da italiano medio all’estero, ma anche viaggi da estero medio in Italia, con tutto il carico stereotipato di comunissimi luoghi, a volte perduti.
Certe credenze (non quelle delle nonne ripiene di bontà) sono dure a morire, altre dovrebbero invece spegnersi dall’origine, perché origine non si riesce a trovare quando ci si trova davanti a uno spaghetto in scotta sofferenza adagiato su un letto di ketchup. Che dire di pizze (essendo napoletana mi tocca molto l’argomento) dall’estro negato per cui la “TIPICA PIZZA NAPOLETANA” spesso è ricoperta di ogni ben di Dio (eufemismo), passando dal salame all’ananas, dalla carne alla bolognese (OmioDio) ai finti pepperoni (proprio così, senza altro aggiungere, se non, andate a leggere, Please). Che dire del tipico chef, dal tipico nome, profeta in patria (forse) Alfredo, che allunga piatti di carbonara affogati nella panna, spaghetti con idea (l’idea, tra i very gourmet, è molto in voga) di salsa rosa e – inorridite, inorridite! – la violazione dei diritti civili non convenzionale, e un non convenzionale istinto predatorio ad alzare le mani su Maccheroni a mo’ di contorno. Sarà che certe tradizioni sono dure a morire, che ci accorgiamo della nostra mediterraneità soprattutto quando è una lontana chimera disciolta in un lunghissimo caffè (non dimenticheremo mai che siamo nati con la moka), ma che bello leggere queste pagine, riconoscersi in umori altalenanti e trovare ricette che alleviano il palato ma anche l’animo e soprattutto quel benedetto/maledetto umore.
Questa volta gli umori e le ricette sono accompagnati dalle forme geometriche che Paul Cezanne percepiva legate strenuamente alla natura. Così dalle sfaccettature prismatiche di una signora Madeleine (il dolce più famoso e signorile tra i letterati) ai barbecue con ricetta di carne alla brace per 10 persone disorientate, alle forme piramidali con annesso riso in bianco per asceti (preferibilmente quattro) passando per cappuccini per 1 persona nota (e qui partire prima senza confondere mai il latte e caffè o il caffè macchiato con latte macchiato macchiato…). Insomma per la serie “seriamente ma senza prendersi troppo sul serio, con serio discorrere di cibo e storia e arte”. C’è tutto in questo libro, c’è intelligenza, ironia, un linguaggio svelto, moderno ed entusiasmante. Un calcetto alla miriade di super eroi da cucina che fanno di nomi altisonanti le nuove bandiere di antichissimi piatti, cibi spesso molto più umili e semplici di loro. Una storica dell’arte Isabella Pedicini, e anche una storica dell’arte di raccontare le passioni, per quest’altalena che è la vita, intrecciata di odori, di sapori, di umori ed esperienze da vivere, condividere, scivolarci sopra con leggerezza, magari gustandosi e dividendosi un caffè con panna.
Caffè con panna, ricetta:
Per tante persone appassionate: litri di caffè, quintali di panna. Et voilà. Esiste qualcosa di meglio?