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Ugo Cornia e la storia lucida di un discreto pensatore

Sono socievole fino all'eccesso
Sono socievole fino all’eccesso

Spesso, nel giudicare un libro, si giudica parimenti l’autore. Se il libro in questione è un romanzo, si punta sul fascino della storia, sulla sua coerenza, sullo stile, sull’azione e su tanti altri aspetti che ognuno di noi ha imparato – a modo suo – a ritenere fondamentali. Se, al contrario, si tratta di un saggio, la cosa diviene un po’ più complicata: è possibile che tratti di un tema obliquo, difficile, ma scritto in modo semplice e lineare, così da risultare piacevole e “digeribile”. Viceversa, ci si può trovare di fronte a tematiche tutto sommato accessibili ma descritte in modo ostentato, con linguaggio supponente e con evitabili e insopportabili giri di parole.

La terza opzione – e siamo giunti al dunque – diviene il saggio-biografia-romanzo e Sono socievole fino all’eccesso, in uscita per la Marcos Y Marcos, in effetti, è questo e più di questo. Nel testo, che narra la vita di Michel Eyquem de Montaigne, si fa – per stessa ammissione di Ugo Cornia, l’autore – abbondante uso delle citazioni del filosofo scrittore e politico francese. Quindi, di per sé, è come – o almeno tale appare a mio modesto avviso – se il testo l’avesse scritto a metà lo stesso Montaigne, tornato nel mondo dei vivi per impugnare fieramente la tanto amata penna.

Concordo con Cornia (“… Sarebbe stato bello scrivere una vita di Montaigne usando soltanto sue citazioni, e cucendole in fila, una dietro l’altra, dall’inizio alla fine… Mi sono sforzato però di stare il più possibile all’interno delle sue parole  e nelle sue idee. E visto che le sue parole sono sempre bellissime ho citato abbondantemente…”) sulla bellezza dei passi citati, densamente intrisi della sostanza e della lucida visione che Montaigne aveva dell’uomo. Modificarli sarebbe stato opera di lesa maestà.

Ugo Cornia, pertanto, ha osato in un campo in cui è difficile essere originali, e lo ha fatto in modo discreto, dove l’aggettivo “discreto” sta sia per termine di qualità del lavoro sia per il suo muoversi a piccoli passi – con discrezione, quindi – quasi non volesse disturbare le parole e i pensieri del grande personaggio di cui tratta.

In un testo tutto sommato breve, di facile e gradevole lettura, si fa la conoscenza del Montaigne, che emerge dalla sua stessa eredità culturale e dai suoi stessi brillanti aforismi. Emergono la grande lucidità e gli ampi orizzonti che Montaigne dimostrava di avere nel giudicare gli uomini, nel comprendere i vari aspetti della natura dei suoi simili, nell’affrontare i problemi che la vita gli poneva davanti.

I commenti e i riassunti di Cornia svolgono un’ottima funzione di sintesi e collegamento tra le citazioni; dall’insieme vien fuori un personaggio poliedrico, che amava il viaggio, la scoperta, che assaporò una breve ma intensa amicizia con l’amico Etienne de La Boétie di cui imparò lo stoicismo e sul quale forgiò una buona parte del proprio futuro pensiero di vita.

Il viaggio, dicevo… Montaigne amava scoprire e imparare, ma dovette far conto in ogni momento della sua vita con la calcolosi renale – eredità lasciatagli dal padre. La continua ricerca di rimedi lo portò a visitare numerose località termali e a sperimentare come sofferenza e pensiero profondo siano spesso compagni che si spostano insieme, muovendosi con lo stesso passo. Un libro siffatto, quindi, va letto anche per questo motivo e anche sotto questo punto di vista.

Una lettura godibile e adatta a – quasi – tutti. Il quasi è riservato a chi proprio non digerisce la narrazione delle vite dei grandi uomini –  a chi, invece, le ama, consiglierei pure un passaggio su qualche biografa scritta da Stephen Zweig, un tipo inarrivabile o giù di lì.

Lo stile di Cornia sa essere credibile in quanto d’impatto immediato, senza spocchiose alzate d’ingegno. bene. Cornia – suo merito – mi pare lasci al lettore la libertà di decidere cosa scoprire e cosa lasciare nell’ignoto, pur conducendolo lo stesso per mano fino alla fine.

Concludo dicendo che avrei citato volentieri anche io qualche passaggio di Montaigne, ma avrei finito per scrivere nuovamente almeno mezzo libro. E chi me lo fa fare? Il libro c’è, è interessante. Basta armarsi di curiosità e correre a comprarlo.

Enzo D'Andrea

Enzo D’Andrea è un geologo che interpone alle attività lavorative la grande passione per la scrittura. Come tale, definendosi senza falsa modestia “Il più grande scrittore al di qua del pianerottolo di casa”, ha scritto molti racconti e due romanzi: “Le Formiche di Piombo” e "L'uomo che vendeva palloncini", di recente pubblicazione. Non ha un genere e uno stile fisso e definito, perché ama svisceratamente molti generi letterari e allo stesso tempo cerca di carpire i segreti dei più grandi scrittori. Oltre che su MeLoLeggo, scrive di letteratura sul blog @atmosphere.a.warm.place, e si permette anche il lusso di leggere e leggere. Di tutto: dai fumetti (che possiede a migliaia) ai libri (che possiede quasi a migliaia). Difficile trovare qualcosa che non l’abbia colpito nelle cose che legge, così è piacevole discuterne con lui, perché sarà sempre in grado di fornire una sua opinione e, se sarete fortunati, potrebbe anche essere d’accordo con voi. Ama tanto la musica, essendo stato chitarrista e cantante in gruppi rock e attualmente ripiegato in prevalenza sull’ascolto (dei tanti cd che possiede, manco a dirlo, a migliaia). Cosa fa su MeLoLeggo? cerca di fornire qualcosa di differente dalle recensioni classiche, preferendo scrivere in modo da colpire il lettore, per pubblicizzare ad arte ciò che merita di essere diffuso in un Paese in cui troppo spesso si trascura una bellissima possibilità: quella di viaggiare con la mente e tornare ragazzi con un bel libro da sfogliare.

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