Un poliziotto italiano in missione in Albania – Intervista a Gianni Palagonia, autore di L’aquila e la piovra
Gianni Palagonia è il nome falso di un poliziotto vero, costretto a usare uno pseudonimo preso a prestito dal nome di una località nel catanese per proteggere se stesso e i propri congiunti dopo le minacce ricevute dalla mafia. Componente di settori investigativi, ha maturato una notevole esperienza in importanti indagini dirette al contrasto della criminalità organizzata e del terrorismo. I suoi libri, oltre che in Italia, sono stati pubblicati in Germania e Olanda. Se volete saperne di più su L’aquila e la piovra, ne abbiamo parlato QUI. Oggi abbiamo voluto fare quattro chiacchiere con l’autore.
L’Aquila e la piovra, cosa ha ispirato la scelta di questo titolo?
L’aquila e la piovra si può definire un testo socio-geopolitico. Il titolo è significativo e non lascia spazio ad interpretazioni. L’aquila rappresenta l’Albania e la piovra, nell’immaginario collettivo, le mafie che con i loro tentacoli arrivano dappertutto. Ma con la dicotomia tra l’aquila e la piovra voglio anche indicare il rapporto esistente tra Albania e Italia, anzi è meglio dire la Sicilia – poiché quelle sono le mie origini e lì è stata ambientata la fiction La piovra. Posso dire che la scelta del titolo è stata determinata da un detto popolare albanese, che ha dell’incredibile. Infatti, si narra che l’uomo albanese sia un duro e che nella sua vita abbia pianto solo due volte: quando è morto il dittatore Enver Hoxha e quando è morto il commissario Cattani.
In Italia ha dovuto affrontare la mafia e le Brigate Rosse. Quali sono le differenze o le somiglianze con la criminalità albanese descritta nel suo libro?
Come ho già scritto nel libro, in Albania potrebbe essere in atto un graduale proselitismo da parte di una corrente salafita kosovara che cerca di attrarre i meno abbienti. Relativamente alla criminalità albanese c’è poca differenza con gli omologhi criminali italiani. In termini di organizzazione, violenza e controllo del territorio nessuno di entrambi si fa mancare nulla. Si sono associati e vivono in una sorta di reciproco mutuo soccorso. Sappiate che la mafia albanese non esiste. Esistono invece numerose organizzazioni criminali che, con il loro modo di fare, hanno assunto le dinamiche tipiche previste dal 416/bis: forza di intimidazione, del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà. Ecco perché si parla di mafia albanese: perché somiglia al modello mafioso italiano.
I suoi libri parlano di storie vere. Il suo ultimo libro parla della realtà che ha vissuto nella sua missione in Albania: quanto c’è di romanzato e quanto di vissuto?
Non la faccio lunga! Di romanzato c’è ben poco. Sul libro, come per i due precedenti, racconto storie di vita raccontatemi dai protagonisti e storie di polizia vissute in prima persona.
Nel romanzo si parla del Kanun, un codice antico che regola i rapporti tra le persone. In cosa consiste esattamente?
Semplice! Se ammazzi una persona, scatta automaticamente la vendetta della famiglia dell’ucciso. Il codice Kanun regola il debito del sangue. Sangue chiama sangue e la vendetta prevede l’uccisione dei figli maschi dell’assassino fino alla terza generazione. Anche se si dice che il Kanun ufficialmente sia stato abolito, di fatto nel nord dell’Albania esiste ancora. Ovviamente uccidono solo i figli maschi perché le donne non valgono nulla.
Ho fatto visita a numerose famiglie sotto vendetta del Kanun, alle quali ho portato da mangiare, giocattoli, medicine, abbigliamento. Di loro mi ha colpito il senso di rassegnazione, di abbandono, di frustrazione, di delusione, di rabbia. Ho promesso ad alcune di loro che avrei attirato l’attenzione dei media raccontando le loro storie in un romanzo, nella speranza che qualcuno finalmente decida di intervenire per evitare questo disgustoso sequestro di persona permanente. Con questa intervista sto mantenendo fede alla mia promessa. Spero qualcosa accada.
Ad oggi, cosa è cambiato e cosa invece resta uguale in Albania rispetto a quanto descritto ne L’aquila e la piovra?
Certo la voglia di rinascere dell’Albania è tantissima e i cambiamenti di oggi rispetto a quando ci lavoravo io, in termini di infrastrutture, sono evidenti. Certo, la strada per raggiungere gli standard europei è ancora in salita.
Come dice un mio grandissimo amico e poeta albanese: non bastano grattacieli, riforme artificiose, ponti e strade per dare all’Albania il certificato di buona condotta. Se non cambiano la tendenza alla corruzione e la testa degli albanesi, nulla può cambiare. Ancora oggi non c’è il senso dello Stato; vige invece la giustizia fai-da-te e le disuguaglianze di genere sono evidenti. Per cambiare l’Albania bisogna partire dall’estinzione nella testa di molti albanesi di un detto popolare che dice: tutto quello che non si può fare, comunque si può fare.
Si parla sempre in maniera negativa del paese delle aquile e della sua gente. Cosa dobbiamo aspettarci invece leggendo il suo libro?
Se andate in giro per il mondo vedrete che si parla in maniera negativa anche della nostra bellissima Italia, a cui viene sempre associata la parola mafia. Mi auguro che il mio libro possa servire a liberare le menti degli ignorati dai preconcetti.