Zoo, di Paola Barbato
Sopravvivere. Per sopravvivere occorre un piano. E chi dice che il tuo piano sia valido o più valido di un altro? Chi ti dice che la tua sopravvivenza valga più di quella dell’altro? E tu, cosa sei disposto a fare, per sopravvivere?
È Zoo di Paola Barbato (Piemme editore) a spingere oltre ogni limite la nostra soglia. Più in là di ogni angolo buio, anfratto, reminiscenza primordiale, portando a galla, scarnificata, tutta l’anima che teniamo relegata in un luogo spesso oscuro anche a noi stessi. Zoo è un gioco al massacro, una punizione per espiare colpe, un libro che non solo risponde ma chiede al lettore di mettere in gioco anche se stesso insieme alla propria dose di sopportazione.
Così Anna si trova nuda, sempre più nuda e rinchiusa in una gabbia, come una bestia, in un circo ricostruito, dove qualcuno tiene in vita strenuamente altri come lei. La resistenza si impara contando le ore, misurando gli spazi, separando i giorni come il cibo calcolato, stantio. E lei, proprio lei, con tutta la sua alterigia, che mai avrebbe abbassato lo sguardo sulla miseria umana, fosse un essere umano o un piatto indegno, ora si ritrova a memorizzare la distanza dalla ciotola dell’acqua perché nel buio non le debba accadere di urtarla e fottersi la dose settimanale che le assicura quella sopravvivenza.
Così il cibo, quale imputridisce prima? Quanto potrà durare? Durerà più una pasta indurita o una carne ammuffita? E perché lei è lì? Chi sono quei relitti che ruotano in modo esatto intorno a lei, in gabbia come lei, ma non come lei? O almeno è così che le pare. È così che sente
Sente che lei non è come gli altri. Lei non è come la donna senza denti, ricurva, orrida e che chiamano serpente perché sibila con quell’asma irrisolta; lei non è come l’obeso che non ha spazio per muovere un millimetro del suo corpo informe, che piagnucola come un bambino, né come il coccodrillo che mastica le sbarre, o come quel napoletano con la faccia da attore che ha più privilegi degli altri in quel luogo dove ci si ammazza per un sorso d’acqua. Sono “altri”, altre vite, altro rispetto a lei.
Nello scorrere del tempo si sente però sempre più simile a quella nuova identità che assume, sporca e incrostata, a urinare negli angoli, a scorticarsi le dita e l’anima per cercare un buco in cui infilarsi e tornare alla vita.
Paola Barbato costruisce un thriller in modo accurato e sapiente. Sceneggiatrice, scrittrice conoscitrice dell’incubo e consapevole forse che quello più terrifico parte prima di tutto da noi, da quello che ci portiamo dentro e che nascondiamo per il timore di riconoscere in noi stessi un’altra identità, per paura di saperci capaci di poter svestire l’abito dell’umano e ritrovare quello della belva, disposta a qualunque cosa. Pur di sopravvivere.